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DOTTOR NICOLA CALANDRELLA
BIOLOGO NUTRIZIONISTA SPECIALISTA IN PATOLOGIA CLINICA
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Fame Nervosa? Insieme possiamo imparare a gestirla

Fame Nervosa? Insieme possiamo imparare a gestirla

Molto spesso ci capita di utilizzare l’espressione fame nervosa per indicare una vera e propria sensazione di stranezza che, però, non siamo in grado di spiegare né agli altri e né a noi stessi.

La cosiddetta fame nervosa non è la fame in senso stretto, ovvero il bisogno di assumere qualsiasi cibo non necessariamente piacevole.

La fame nervosa parte dalla testa  non dallo stomaco.

La fame nervosa è dovuta a meccanismi psichici, che portano a mangiare in modo automatico, compulsivo e mai sano.
Alla base vi è spesso uno stato emotivo che facciamo fatica a gestire: ci sentiamo nervosi, arrabbiati, tristi, soli, confusi.. per tutta una serie di situazioni esterne (es. discussione con il partner, con i figli, con il collega, una delusione, una performance che ci sembra tutto elevata, continui stressors ambientali.. ecc.) e avvertiamo una sorta di tensione che non riusciamo ad identificare ma che istintivamente siamo indotti a scaricare.

E come scarichiamo, il più delle volte,  questa tensione emotiva che chiamiamo fame nervosa? Mangiando! E’ il comportamento più immediato e semplice che riusciamo a mettere in atto, perché, guarda caso, in qualche modo, ci fa sentir meglio: mangiare, seppur in modo automatico, ci consola, placa la tensione.

E’ qui che si nasconde la beffa.

Il punto cruciale è che, in tali circostanze, mangiamo in modo sbagliato sia perché non gustiamo ma “ingoiamo” o ci “ingozziamo” ma anche perché mangiamo cibi ipercalorici. I cibi ipercalorici, sul momento ci fanno sentir meglio, ma a lungo andare, se diventano il nostro stile alimentare quotidiano sono causa dell’insorgenza di malattie metaboliche, diabete, obesità, malattie cardiovascolari…

Perché non riusciamo a farne a meno?

L’equazione cibo: amore e, quindi, conforto e “comfort food”,  è piuttosto antica: riviviamo inconsapevolmente quella sensazione di benessere che riusciva a infondere la mamma quando ci allattava o ci offriva il cibo, e in questo modo si placava il piano e la tensione emotiva. Più replichiamo questo comportamento alimentare, ovvero, il mangiare quasi esclusivamente cibi ipercalorici, e più non riusciamo a farne a meno.

Ecco come senza rendercene conto si attiva il meccanismo della dipendenza.

In altre parole, il circolo vizioso del comportamento alimentare sbagliato si declina in questo modo:

Rabbia/tristezza: cibo ipercalorico che mangio in modo compulsivo: sensazione di benessere temporanea: rabbia e tristezza. E poi?

Ma quali strategie possiamo adottare?

Come primo step, dobbiamo iniziare a riconoscere il comportamento problema : la dipendenza da certi comportamenti alimentari non sani, i quali ci fanno più male che bene.

Secondo, bisogna iniziare a pianificare tutta una serie di strategie comportamentali che ci permettano di riconoscere per tempo i segnali allarme di una situazione  a rischio  stato emotivo ingestibile che mi illudo di governare attraverso il mangiare compulsivo. Si impara, quindi, a riconoscere l’emozione scatenante e la situazione che ha provocato tale tensione.

Raggiunta questa consapevolezza, sempre con l’aiuto dell’esperto, si possono identificare una serie di azioni che ci possono aiutare a scaricare  la rabbia, la tristezza, la noia, la sensazione di solitudine. Ad esempio, si può pensare di camminare, di fare sport, di chiamare ad un amico, di svolgere un’attività creativa… i comportamenti alternativi possono essere vari e circostanziati per evitare di mettere in atto un solo comportamento: il mangiare in modo inadeguato.

La persona quindi, impara a lavorare su di sé, in modo graduale, sul piano emotivo e comportamentale anche organizzando la propria alimentazione quotidiana secondo le indicazioni del nutrizionista.

Ad esempio, a seconda del parere del nutrizionista, potrebbe consumare cibi ricchi di triptofano: formaggi, carni, fagiano, cinghiale, montone, piccione, anatra, petto pollo/tacchino e affettati, pesce fresco e in scatola, uova, legumi secchi (soia), frutta secca (mandorle, pinoli)  per aumentare i livelli  di produzione di serotonina che a sua volta tende a ridurre la fame.

La serotonina è un neurotrasmettitore che, fra le altre cose, inibisce l’assunzione di cibo (interagendo con recettori nell’ipotalamo) ma il su principale effetto è regolare il tono dell’umore aumentandolo.

Uno degli obiettivi di un percorso di educazione alimentare, quindi, è quello di passare da una condizione di soggetto passivo  a quello di soggetto attivo che gestisce e controlla le proprie emozioni, che riconosce anticipatamente o in itinere il comportamento alimentare sbagliato e trova una soluzione.

La persona che lamenta un comportamento alimentare di questo tipo, non è sola.
Con l’aiuto dello psicologo e del nutrizionista, può imparare a mettere in atto tutta una serie di comportamenti atti a migliorare, step by step, la propria qualità di vita, mettendo al centro se stesso e il proprio benessere psicofisico.

A cura della Dott.ssa Claudia Minenna
Psicologa Psicoterapeuta esperta in disordini alimentari ed educazione alimentare
c/o Centro di Nutrizione Umana Dott. Nicola Calandrella